Il carnevale si chiudeva tra balli, risate e parecchi bicchieri di vino, infatti per la quaresima non si poteva più ballare per convinzione, o per non sentire i richiami dei parroci nelle omelie delle domeniche.
Giorno di festa il giovedì di Carnevale, il Giovedì Grasso, grasso anche per i pezzi di lardo infilzati nello “spitt” del pagliaccio, l’apri fila della sfilata delle maschere. Innanzitutto ci vuole il Pagliaccio, il primo elemento, «quel ch’en se vergogna, enn’ha paura de fass avanti» seguito poi da tutti gli altri personaggi. “Il Medico e l’Infermiera”, vestiti di bianco, con addosso i ferri del mestiere, forbici lunghe almeno trenta centimetri in legno, coltellacci vari, e la sega
taglia-ossa, quella usata per la legna.
Poi ci sono “gli Sposi”, sempre “a braccetto”, lui in vestito nero più stretto di due taglie, cravatta al collo e brillantina in testa, lei, con un improbabile vestito bianco da dove spuntano le gambe più storte e pelose del paese, tiene con una mano l’ombrellino parasole e con l’altra “la gluppa”. Seguono poi lentamente “il Vecchio e la Vecchia”, sostenendosi a vicenda giacché zoppicano tutti e due, sempre se si ricordano da quale gamba.
Il “Gobb e la Gobba”, altra coppia, camminano a fatica vestiti di stracci appoggiandosi sui loro lunghi bastoni, “el Contadin e la Contadina” con le forche sulle spalle o il rastrello del fieno… “EI Pret e la Suora”, con i vestiti presi in prestito in parrocchia. Chiudono la fila le contadinelle, in ciabatte e “parananza”, portando i cesti dove verranno riposte le uova guadagnate nelle visite alle varie case sparse nella campagna.
Tra le contadinelle che avanzano danzando attente a non far cadere le uova dai cesti, c’è “el Sonator” con l’organetto in mano, le note sono sempre le stesse, una sola canzone, ma riempiono l’aria di allegria. la sfilata inizia il suo cammino, di solito a piedi. A volte gli Sposi sono fatti salire sul carro trainato da una coppia di mucche, anche loro “vestite” per
l’occasione. Il corteo passa di casa in casa, si ferma nelle aie.
Quando viene accolto si prepara per la recita improvvisata, a turno i vari componenti si alternano nelle loro scenette. Si va avanti tra le risate fino a quando un bel pezzo di lardo del maiale appena ammazzato finisce infilzato nello “spitt” e un bel numero di uova nel cesto delle contadinelle, mischiate a volte con qualche moneta.
Tutto va bene per la festa che chiuderà la serata.
Varie sono le scenette che vengono rappresentate. C’è “Lo sposalizio”: il Prete con un rito poco ortodosso, condito anche di parole “un po’ così”, unisce in matrimonio i due fidanzati che, in un dialetto campagnolo, rispondono a tono alle domande del finto sacerdote.
Va in scena poi “La sala operatoria”: il Medico e l’Infermiera operano a turno il Vecchio o la Vecchia, tirando fuori dalle loro pance un’infinità di oggetti strani ad ognuno dei quali corrisponde una storiella, a volte si assiste al “Parto della contadinella”, tra le urla della stessa e le imprecazioni del Contadino per l’arrivo dell’ennesimo figlio. Una volta finite le varie scenette, ringraziando per i doni ricevuti, le maschere passano in un’altra casa e la sfilata continua per tutta la giornata.
La sera poi tutti i personaggi si ritrovano per la festa conclusiva. Ci sono tutti, compresi quelli che con i loro doni hanno contribuito. Di solito non manca nessuno. Vino, dolci, “cresciole e castagnole”, “el sonator” sul palco realizzato con le “cass dal’ùa”.
Estratto dal libro di: Antonio Seraghiti, All’ombra del grande noce, (Metauro Edizioni srl) 2011
Qui sotto il Carnevale, rivisto e rievocato dalla Proloco di Canavaccio nel 2012
Fotografie di: Sofia Rossi e Riccardo Bassani