Scritti per Gaifa la terra di nessuno
Anna Lia Ermeti, Anna Fucili, Sara Bartolucci, Leonardo Gubellini, Nicole Hofmann
a cura di Anna Fucili
«L’ambito territoriale oggi distribuito su tre Comuni Urbino, Fermignano, Fossombrone in questo volume ritrova un’unitarietà perduta, ma espressa nei secoli dal toponimo Gaifa, che distingueva la cosiddetta valle gaifana, la quale, percorsa dal Metauro, si estendeva tra le Cesane e il Pietralata, dalle porte di Urbino fino alle vicinanze di Fossombrone.
L’ etimo Gaifa, deriva da Waifa, parola longobarda che significa “terreno che non appartiene ad alcuno” e da titolo al volume nel quale sono raccolti i diversi studi dedicati all’archeologia, alla storia, all’arte e all’ambiente di un territorio nella media valle del Metauro.
Gli scritti in sommario illustrano i luoghi – Canavaccio e la sua lunga storia; la pieve di S. Stefano di Gaifa e l’abbazia di S. Angelo; la valle di Gaifa nel medio Metauro; la torre Brombolona con la sua campana di cui si ignora l’odierno destino ma anche le opere d’arte eseguite per le chiese della zona; infine, ampio spazio alla flora e alla vegetazione.
La scelta del titolo per il libro che si sta per pubblicare deriva non solo dal passato, ma si basa sull’attualità, considerando che il toponimo continua a distinguere la frazione Pieve di Gaifa e la chiesa di S. Stefano, nel Comune di Urbino; la frazione di S. Bartolomeo di Gaifa e la chiesa omonima, nel Comune di Fossombrone, mentre in passato, identificava anche un’importate istituzione risalente all’alto Medioevo, l’abbazia di S. Angelo (o S. Michele arcangelo) e un castello, distrutto, del quale permangono solo ruderi tra la boscaglia.
L’idea di dedicare studi e ricerche a questi luoghi nasce dopo la costituzione di un comitato, evolutosi poi nel Circolo culturale Pieve di Gaifa, sorto per valorizzare il territorio, nel quale la pieve di S. Stefano continua ad essere al centro della vita spirituale e il sito dove prendono slancio le diverse iniziative, mentre la torre Brombolona, unica vestigia del castello di Primicilio, è ancora il simbolo di Canavaccio, sotto la cui egida vive laboriosamente la popolazione più numerosa tra le frazioni del Comune di Urbino. Entrambe sono testimoni di un passato identitario, ricco di memorie, ma costituiscono anche elementi su cui basare progetti per il futuro, conoscendone la storia, assai complessa.
Essa si coniuga con altre storie: in primis dell’abbazia di S. Angelo di Gaifa, ma anche di castelli, Primicilio, Gaifa, Pagino; di ville, Pomonte, S. Marino, Monte Polo; di mulini, di colombaie, di torri, intrecciandosi con enigmi e leggende. Dalla presenza dei templari al mistero della campana con data 1407, la “Brombolona”, contesa tra i castelli di Primicilio e Gaifa, della quale è riportata in varie fonti l’arcana iscrizione del SATOR, mentre è ignoto l’odierno destino, dopo essere stata “tolta giù” a fine XIX-inizi XX sec., con qualche successivo avvistamento smentito o sussurrato: dove si trova? Una certezza è il suo nome, derivato dai grandi bromboli di ghiaccio che in essa si formavano durante i rigidi inverni e che distingue la stessa torre che l’ha ospitata fino alla sua sparizione.
La pieve di S. Stefano e l’abbazia di S. Angelo, citate in documenti del XIII e dell’VIII-X sec., ma probabilmente anteriori, sono sorte in un sito davvero particolare, secondo quanto la “tradizione” tramanda, un luogo di culto pagano, denominato Campo Donico dove si presume vi fosse un tempio dedicato al dio Adone, una ipotesi contestata da alcuni studiosi, anche se non era inusuale erigere luoghi di culto cristiani, pievi o monasteri, sui precedenti pagani; e ciò, in un viaggio a ritroso, conduce all’epoca della civiltà romana sviluppatasi in questa zona periferica, attorno all’Urvinum Mataurense.
È quanto confermano e supportano i ritrovamenti archeologici degli anni venti del settecento, proprio “alla pieve di Gaifa”, come i capitelli adibiti ad acquasantiere, riferibili ai primi secoli d. C. o il cippo recante inciso l’epitaffio sepolcrale di un giovane liberto, rinvenuto presso il castello di Primicilio e attualmente conservato nel Museo archeologico di Urbino. La storia “all’indietro” riporta ai Piceni rappresentati dal pettorale (la “collana”) in bronzo proveniente da Canavaccio ora nel Museo archeologico di Ancona, dell’VIII sec. a. C., fino alla preistoria dei primi “abitatori dell’urbinate” a confermare il territorio abitato dalle origini dell’uomo, dapprima a ridosso del fiume per allontanarsi sulle pendici delle Cesane.
L’esistenza dei castelli medievali ha trovato, se si vuole, continuità, nell’organizzazione territoriale dei secoli successivi, fino all’ottocento, con gli appodiati di Primicilio, Gaifa e Pagino; di essi, dopo l’Unità d’Italia, solo il primo è rimasto nel Comune di Urbino, mentre Gaifa è passato a Fossombrone e Pagino è stato assorbito da Fermignano.
Un cenno, che dà lustro ulteriore a questi luoghi avvicinandoli alla rinascimentale Urbino, meritano i rapporti con i Montefeltro: il piccolo Federico, nato il 7 giugno 1422, fu ospitato per essere dato a balia fino al novembre 1424, nel monastero dei monaci benedettini di Gaifa, nel nuovo complesso abbaziale ricostruito nel 1277 a Pagino; lo stesso Federico che nel 1447, durante la repentina riconquista di Fossombrone, trova rifugio a Gaifa, verosimilmente nel castello, che come il corrispettivo di Primicilio, era inserito nel sistema difensivo urbinate tanto da essere entrambi punti strategici nel 1502 , durante il passaggio delle truppe di Cesare Borgia detto il Valentino.
Da sottolineare, ma non da ultimo, come le numerose e diverse iniziative editoriali, soprattutto a partire dagli anni ottanta del novecento, dedicate alla scoperta dei cosiddetti “centri minori”, tra i quali anche le località oggetto della ricerca, sono partite da un equivoco, il diminutivo “minore”, che le hanno relegate da subito ad un piano secondario.
L’intento, con il volume in corso di pubblicazione, è invece di dare visibilità “continuativa” ad una terra che non vuol essere “di nessuno”, appartenendo ad una comunità attiva alla ricerca di nuove prospettive e risorse».
Anna Fucili